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Tecnologia

'Final Fantasy XV' è il videogioco transmediale definitivo

Il nuovo capitolo della saga di Final Fantasy riesce a oscillare continuamente tra tradizione, conservatorismo e brio rivoluzionario.
Immagine: Shutterstock

La leggenda narra che ne 1986 un giovane ribelle di nome Hironobu Sakaguchi, appena lasciata l'università per seguire il suo sogno di game designer, espose a Shigeru Miyamoto un'idea riguardo ad un nuovo videogioco. Il nome di quel gioco era Final Fantasy, perché se il progetto fosse stato un fallimento quella sarebbe stata la sua ultima fantasia e sarebbe tornato alla noiosa vita da studente universitario rinunciando per sempre al suo sogno. Accadde però tutto il contrario: si vendettero milioni di copie e il nome, che sembrava portare fortuna quanto un Maneki Neko, non venne mai cambiato.

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Con il passare degli anni, Final Fantasy si è evoluto in un fenomeno incredibile capace di mutare pelle senza mai tradire la sua anima, travalicando generazioni di console, passando dalle due alle tre dimensioni, abbandonando il sistema di combattimento a turni e proponendo storie e personaggi sempre distanti tra loro ma intimamente accomunati da quella magia che solo il maestro Sakaguchi sapeva creare.

Come tutti noi appassionati sappiamo, però, la "golden age" era destinata a finire e dopo il disastroso flop del film The Spirits Within—ossia uno dei disastri più grandi nella storia del cinema—e dopo la successiva fusione con la Enix per evitare la bancarotta, qualcosa è cambiato. In seguito al fallimento del suo lungometraggio Sakaguchi lasciò la società di cui era ormai anche vicepresidente, seguito dopo poco dallo storico compositore della serie Nobuo Uematsu, il cui fondamentale contributo alla serie rappresenta per i fan un dogma. Da quel giorno Final Fantasy non è stato più lo stesso: la vagonata di spin-off e i quattro mediocri capitoli successivi della saga principale non hanno fatto che confermare la crisi di idee e identità in cui la Square-Enix galleggiava ormai da un po'.

Final Fantasy si è evoluto in un fenomeno incredibile capace di mutare pelle senza mai tradire la sua anima.

Oggi che ho in mano la mia copia di Final Fantasy XV la mia mente viaggia indietro nel tempo a quel fatidico incontro fra Sakaguchi e Miyamoto di 30 anni fa. Anche allora la Squaresoft era sull'orlo del baratro, ma la fantasia finale riuscì comunque a sfatare il destino incombente ricordato persino dal suo stesso nome. Fra avversari agguerriti, sviluppi tecnologici rapidissimi e una fanbase tanto critica quanto ferocemente innamorata, sarà riuscito Hajime Tabata a riportare la serie nel presente senza far rimpiangere il passato?

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L'EREDITÀ GIAPPONESE
Partiamo da un presupposto: i vecchi capitoli sono più belli, e noi giocatori di vecchia data ghiotti di Member Berries (per chi non segue South Park sono grappoli d'uva i cui acini parlanti tranquillizzano le persone rievocando eventi della cultura popolare delle decadi passate) non riusciamo a distaccarci dai giochi che hanno rappresentato la nostra infanzia.

Riuscire però a valutare il nuovo capitolo attraverso questa lente sarebbe praticamente impossibile. Provando invece ad analizzare il tutto da una prospettiva più lucida e razionale, e solo per un attimo tirando via quel velo che rende tutto magico e meraviglioso di default per chi è caduto nel tunnel dei videogiochi da tempo, possiamo notare per sommi capi come Final Fantasy VIII non avesse poi una trama eccelsa, Final Fantasy un sistema di crescita e combattimento mediocre e di come Final Fantasy X ci privasse quasi totalmente della libertà di movimento che aveva contraddistinto i capitoli precedenti. Insomma, tolti i capitoli più antichi e glissando per bontà e compassione sul coraggioso ma poco emozionante dodicesimo episodio e sul terribile Final Fantasy XIII—da molti definito un simulatore di corridoi—ci troviamo a dover ammettere che i tempi dei capolavori sono piuttosto lontani.

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È indubbio che nel corso degli ultimi anni il Giappone, un tempo punta di diamante dello sviluppo di videogiochi, abbia ceduto il terreno ad un'industria americana ed europea in forte crescita. Chi avrebbe immaginato negli anni '90 che uno studio polacco sarebbe stato capace di raggiungere le vette del gaming mondiale? Congratulati per i loro successi persino da Barack Obama durante una visita in Polonia non troppo tempo fa, i CD Projekt sono riusciti nell'ardua impresa di rendere un gioco europeo come The Witcher 3 il punto di riferimento per gli action-rpg moderni.

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Anche l'americana Bethesda con la serie The Elder Scrolls o la canadese Bioware con la trilogia di Mass Effect e Dragon Age sono riuscite a creare giochi di ruolo di grande spessore entrati ormai a pieno titolo nella storia videoludica. Tabata e tutta la Square-Enix devono aver ben tenuto a mente queste novità prima di allocare lo spaventoso budget di cui ha potuto godere Final Fantasy XV.

Perché mentre nel resto del mondo sul trono un tempo della creatura di Sakoguchi si avvicendavano ancora una pletora di validi aspiranti, nella terra del Sol Levante gli sviluppatori ristagnano ormai in tecnologie perlopiù obsolete e trame che ripetono con stanchezza i paradigmi dai classici degli anni '90. Se escludiamo perle isolate come la serie dei Dark Souls / Bloodborne e il recente Xenoblade Chronicles, il panorama degli RPG giapponesi appare oggi piuttosto misero, ed è quindi con piacevole sorpresa che dobbiamo riconoscere a Tabata e al suo team di aver compiuto un piccolo miracolo.

Ciò che colpisce del nuovo episodio è infatti la capacità di ballare in continuazione fra tradizione, finanche conservatorismo, e brio rivoluzionario.

Final Fantasy XV è infatti uno dei videogiochi più ambiziosi degli ultimi anni, un progetto transmediale che non si accontenta di essere uno dei titoli col ciclo di sviluppo più lungo della storia (l'annuncio risale al 2006) ma vuole essere un progetto a tutto tondo capace d'includere anche un pinball per mobile di nome Justice Monsters Five; una serie di anime da cinque episodi di nome Brotherhood: Final Fantasy XV; un beat 'em up arcade intitolato A King's Tale: Final Fantasy XV, disponibile come bonus per il pre-order; un cortometraggio di nome Omen in CGI, realizzato da Digic Pictures; e un remake per mobile del gioco per Famicom del 1986 chiamato King's Knight: Wrath of the Dark Dragon.

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E poi, appunto, c'è Kingsglaive, il film in computer grafica inserito all'interno della Deluxe Edition del titolo già uscito nelle sale americane e destinato probabilmente al Blu-Ray e al circuito dello streaming. La trama narra gli antefatti di Final Fantasy XV e racconta una storia che avrebbe dovuto essere narrata all'interno del gioco, poi sacrificata per ridurre i già esorbitanti costi di sviluppo. Al di là della spettacolarità dell'operazione, l'intro più incredibile della storia dei videogiochi sorprende sopratutto per la particolare interazione che va a creare con il gioco vero e proprio, particolarità che implementa le funzionalità a livello di gameplay, immergendoci nella trama, nel lore e addirittura nelle meccaniche di gioco, particolari su cui comunque vale la pena di non fare spoiler.

Il ritorno ad un ruolo d'avanguardia nel campo delle intro in CGI, da sempre fiore all'occhiello dei vari Final Fantasy, può rappresentare una piccola sintesi di cosa aspettarsi da questo quindicesimo capitolo. Ciò che colpisce del nuovo episodio è infatti la capacità di ballare in continuazione fra tradizione, finanche conservatorismo, e brio rivoluzionario, una selezione spietata su quale passato mantenere e distruggere tutto il resto inseguendo il futuro, per scriverlo ancora una volta. Se quindi non contenti di un reparto tecnico di altissimo livello, una colonna sonora memorabile e un mondo esplorabile esteticamente incredibile, i nostalgici storcessero il naso di fronte alle innovazioni sul fronte del gameplay, e in particolare per quanto riguarda il nuovo sistema di combattimenti, si deve dunque sottolineare che in una produzione di questo livello le scelte non sono mai casuali. Bisognerà semmai farsene una ragione: non avremo mai più un Final Fantasy con combattimenti a turni, sono superati e inadatti ai ritmi di gioco odierni. Quello che il futuro ci riserva è questo, e penso anche al prossimo e temutissimo remake del mai dimenticato Final Fantasy 7.

Anche l'atmosfera è diversa. "Questo e un sogno che si ispira alla realtà," così recita il trailer del gioco ed è proprio quello che si prova quando avviando il gioco ci si trova a spingere una macchina sulle note di 'Stand By Me' dei Florence and the Machine. Sembra di essere in un road movie americano alla Easy Rider. Non ci sono più navi volanti come la mitica Highwing a trasportarci per l'enorme mappa di gioco, ma una specie di Audi già inizialmente tamarra e ulteriormente pimpabile nel corso del gioco, capace anche di volare una volta raccolte le modifiche giuste, il tutto in un ottima commistione tra elementi reali e magici ed anche un po' steampunk.

I contenuti magici e reali possiamo trovarli anche nelle architetture della città di Altissa, ispirata a Venezia: lo spazio per la nostalgia in realtà non manca. È chiaro come il gioco spinga per distanziarsi dai precedenti capitoli della saga in modo netto pur non rinunciando a Chocobo, Cid e Summon. Sì, le spell sembrano ormai delle granate, ma al tempo stesso ci troviamo di nuovo a respirare Final Fantasy in uno dei mondi più vasti, curati e affascinanti degli ultimi anni. E in questo riconosciamo un'altra motivazione strategica dietro al nuovo sistema di combattimento che ci permette finalmente di portare la febbre di esplorazione su un nuovo livello. La novità si fa sentire quando incontriamo determinati nemici, soprattutto quelli colossali capeggiati dal difficilissimo e assolutamente opzionale Adamantoise, che si preannuncia come una delle boss fight più lunghe della storia del brand. Fra digressioni, lunghi tragitti in auto e chiacchierate con il resto del party, quello del viaggio in sé sembra essere un vero asse portante dietro la filosofia del gioco.

Concludendo non possiamo che congratularci con la Square-Enix per l'impegno profuso in questo capitolo che scardina con successo i dogmi della serie in un mix di azione frenetica e viaggi interminabili a bordo della nostra Regalia. Una gloriosa ripartenza a cui si può perdonare qualche cedimento nella narrazione, specialmente nella seconda parte dell'avventura, e i fastidiosi cali di framerate che affliggono il gioco fin dalle prime demo. Tabata ha realizzato un piccolo capolavoro che rappresenta una nuova speranza per i Jrpg, la speranza di tornare ai fasti dell'era Snes o dei capitoli per Psone, perché il mondo ha ancora bisogno di storie emozionanti e melodie memorabili, di Sfereografie e Junction system, Di Cloud Strife e Squall Leonhart, ma guardando al presente anche del principe Noctis Lucis Caelum. Perché oggi come nel 1986 la fantasia non può ancora finire.