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Incubi e angoscia: le foto dall'archivio di Roger Ballen continuano a metterci a disagio

"Le mie foto sono potenti perché accedono al subconscio."
Roger Ballen,  Il sergente F. de Bruin, impiegato del Dipartimento delle Prigioni, Stato Libero d'Orange, 1992 (a sinistra); Roger Ballen, Dresie e Casie, gemelli, Transvaal occidentale, 1993 (a destra). Tutte le foto per gentile concessione di Roger Ballen.

Dopo 50 anni passati a scattare le sue spettacolari foto in bianco e nero, Roger Ballen si può tranquillamente definire un maestro del genere. Negli ultimi tempi l'artista, americano ma residente in Sudafrica, si è guadagnato una sala tutta sua nello Zeitz Museum of Contemporary African Art di Città del Capo, mentre fuori dal mondo della fotografia ha diretto i video dei Die Antwoord e girato una serie di cortometraggi. Ora con Ballenesque, una monografia in uscita il 10 ottobre per i tipi di Thames & Hudson, vuole annunciare a tutto il mondo di essere diventato un'icona.

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"Ho creato questo stile, che chiamo Ballenesque. Due o tre anni fa non sarei stato in grado di spiegarlo," mi ha detto Ballen. "Ho creato una realtà che rimanda direttamente al modo in cui mi esprimo tramite la fotografia. In un certo senso, non c'è altro modo di definire questo libro. Spero che le foto che contiene permettano alle persone interessate all'arte e alla fotografia di avvicinarsi a una parte della loro mente che le mette a disagio."

Ballenesque si apre con un saggio scritto dallo storico e critico culturale Robert J.C. Young. Nel saggio, Young parla dell'aspetto "immediatamente riconoscibile" delle immagini di Ballen, che definisce "ritratti prensili," "collage aleatori," "muri senza finestre" e "giunture oscure di disgiunzione." Di questi aspetti fondamentali dello stile di Ballen, Young dice: "Sono quattro: tu, che guardi la fotografia, può aggiungerne un quinto per completare il quadro."

Il resto del libro è un tour guidato nell'opera di Ballen, con 50 pagine in cui l'artista traccia la sua biografia, racconta aneddoti sulla sua vita, fa considerazioni di tecnica fotografica e riflessioni filosofiche. Tutto parte da uno sfuocato ritratto di famiglia che Ballen ha scattato a 13 anni, e dalla prima tra le sue foto a essergli davvero piaciuta—la foto di un gatto morto sul ciglio della strada.

Dead Cat, New York, 1970.

Negli anni Sessanta e Settanta Ballen si è dedicato alla documentazione delle controculture, dalle proteste contro la guerra in Vietnam a Woodstock. Ed è proprio sulle pagine di Ballenesque che alcune di queste foto vengono diffuse per la prima volta, insieme ai ritratti dei bambini immortalati nel corso dei suoi viaggi da New York all'Indonesia.

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Froggy Boy, USA, 1977

Woodstock, 1969

Una volta in Sudafrica, Ballen si è poi dedicato alla realtà dell'apartheid. Girando per il paese da geologo, non ha mai smesso di fotografare le persone e i luoghi, dando così origine alle due serie che lo hanno reso famoso: Platteland e Outland.

Puppy Between Feet, 1999

Il libro contiene anche i dipinti realizzati dall'artista negli anni Settanta e diventati parte integrante delle foto astratte di Asylum of the Birds e The Theater of Apparitions. "Sono stato contento di aver potuto inserire anche quei quadri nel libro," spiega. "Non dipingo da trent'anni, ormai, ma in un certo senso quelle immagini hanno gettato le basi per tanti miei lavori successivi."

A comporre le ultime pagine di Ballenesque è invece l'ultimo progetto dell'artista, Ah Rats. Gli animali che per anni sono vissuti ai bordi delle sue opere stanno oggi al centro della scena, e lo sono stati anche nell'ultimo video che ha diretto per i Die Antwoord, "Tommy Can't Sleep".

A Johannesburg, Ballen divide le sue giornate tra la fotografia, la famiglia, la Roger Ballen Foundation e le cure dei suoi oltre cento animali. "Ci sono topi, serpenti, galline, papere, lucertole, conigli, ragni, colombi, piccioni, corvi…" Alcuni hanno anche un nome, come l'uccello Icarus e il topo Stoffel.

Five Hands, 2006

La sua vita attuale non potrebbe essere più lontana dalla scena politica americana, ma Ballen ha dei consigli per i giovani artisti che sognano di emergere in un'era fotografica che definisce "amorfa" rispetto ai tempi in cui lui ha mosso i primi passi.

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"Gran parte delle capacità di un artista di dire qualcosa di valido sul mondo è definita dalla sua stessa esperienza fisica di quel mondo," spiega. "Dedicatevi a cose che vi toccano direttamente. I più scattano e scattano e non fanno altro, non si sforzano. Non devono mettersi in prima linea. Ma se uno vuole fare qualcosa che abbia un valore, deve mettersi in gioco."

Tommy Samson and a Mask, 2000

Con questo Ballen non vuole però dire che gli artisti debbano correre rischi fisici, concreti. "L'approccio te lo costruisci dopo anni e anni di lavoro. Le mie foto sono potenti perché accedono al subconscio. E quando parlo di mettersi in gioco lo intendo anche in senso psicologico." Per Ballen, mettersi in gioco ha significato ritrarre luoghi e persone che altri avevano ignorato. Così, le sue foto di outsider aiutano chi le osserva a guardare dentro di sé.

Stare, 2008

Mimicry, 2005

Devour, 2013

Ballenesque è in uscita per Thames & Hudson. Per maggiori informazioni, vai qui.