Cultura

Perché così tanti NFT sono semplicemente orrendi?

"Se ci ostiniamo ad applicare i normali standard agli NFT, non afferriamo il punto della questione."
Daniele Ferriero
traduzione di Daniele Ferriero
Milan, IT
Paris Hilton  Jimmy Kimmel Bored Ape NFTs
Paris Hilton e Jimmy Kimmel  mostrano una Bored ApePhoto:Fallon Tonight via YouTube

A gennaio del 2022, gli editor di Wikipedia hanno votato per escludere gli NFT dalla lista delle “opere d’arte più costose create da artisti viventi.” Wikipedia difficilmente può essere considerata un baluardo dell’arte moderna, ma rimane una fonte globale di “verità” per moltissime persone. In questo senso, il voto ha di fatto proclamato che gli NFT non sono arte.

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Comprensibilmente, la comunità NFT è piuttosto in subbuglio, e lo stesso vale per tutte le persone che si trovano d’accordo con la decisione espressa su Wikipedia.

I “non-fungible token” sono in sostanza delle ricevute digitali associate al possesso dei beni digitali. Certo, chiunque può salvare un oggetto digitale con un click del tasto destro del mouse, ma non è questo il punto. La cosa importante è che una persona tecnicamente possiede quello specifico artefatto digitale, qualunque esso sia.

Tuttavia, l’interpretazione culturale di un NFT è molto diversa dal suo “significato tecnico.” Per i sostenitori più ostinati e appassionati, si tratta delle fondamenta di comunità vivaci e vitali. Quel tipo di comunità dove indossare degli zaini modificati per mostrare gli NFT ai convegni dedicati alle criptovalute, dove utilizzare gli NFT come foto profilo per vantarsene su Twitter, o chattare nei forum esclusivi su Discord, disponibili solo dopo l’acquisto degli NFT.

Poi ci sono le persone scettiche o semplicemente contrarie, che non riescono a superare, be’, la bruttezza della maggior parte degli NFT. Basta dare un occhio a piattaforme come Nifty Gateway o OpenSea per comprendere che quest’ultima categoria di cinici potrebbe aver ragione. Prendiamo per esempio i CryptoSharks: sono letteralmente composti da una foto presa dal poster promozionale di Shark Tale, con l’aggiunta di qualche particolare piuttosto appariscente e pacchiano, e degli sfondi.

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In effetti, gli NFT più banali—quelli già arrivati al grande pubblico, come CryptoPunks, CryptoKitties, The Bored Ape Yacht Club e Lazy Lions—hanno un’estetica piuttosto deludente. Ognuno di questi progetti consiste di fatto in migliaia di NFT che sono in realtà nient’altro che leggere variazioni di un singolo volto, di solito creato grazie a un algoritmo che genera casualmente i vari livelli costituiti dagli accessori, dalle espressioni e dal colore della pelle. Non è un procedimento particolarmente difficile e non c’è nemmeno bisogno di saper programmare.

La questione riguarda però davvero solo il gusto personale? O, invece, il fatto di guardare dall’alto in basso tutta questa estetica smaccatamente popolare ci rende uguali ai rappresentanti del mondo dell’arte d’élite?

Quando si parla dell’argomento, le persone tendono a concentrarsi sulla blockchain e sui mercati, sulle varie comunità, la decentralizzazione, i collezionisti e, ovviamente, il guadagno. Sono poche le persone che si soffermano sull’aspetto e sull’estetica degli NFT. Persino Everydays: The First 5,000 Days di Beeple—“la prima opera d’arte completamente digitale” mai comprata da una grande casa d’aste come Christie’s—è stata venduta a un’azienda il cui rappresentante pare aver affermato, prima di tirare fuori 69 milioni di dollari per pagare, “Non avevamo bisogno di un’anteprima.” A quanto pare, il semplice riconoscimento del valore dell’opera è bastato per decidere di separarsi da quella assurda somma di denaro.

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Secondo J.J Charlesworth, critico d’arte e senior editor presso ArtReview, il mondo dell’arte è alquanto confuso dal confronto. “Se ci ostiniamo ad applicare i normali standard agli NFT, non afferriamo il punto della questione. Una gran parte del mercato degli NFT si basa sulle collezioni, e c’è sempre stata una componente molto popolare nelle collezioni, anche dal punto di vista visivo. Pensiamo ai fumetti, alle carte collezionabili, alle sneakers.”

Gli NFT riflettono gli interessi e la prospettiva culturale delle persone che li collezionano. I progetti più di successo sono radicati in comunità che ospitano persone con una simile visione del mondo, e con una simile prospettiva a lungo termine—ad esempio, l’idea di integrarli nei videogiochi. In sostanza, non si guarda a tipiche qualità artistiche quali la palette dei colori, la composizione o il soggetto e le tematiche affrontate.

“La realtà è che molti NFT sono piuttosto stupidi, cerchiamo di essere onesti,” ribatte Charlesworth. “Bored Ape ha un’estetica indirizzata al collezionismo. Non è molto interessante dal punto di vista visivo. E molte di queste opere non cercano minimamente di presentarsi come se si trattasse d’arte d’alto livello.” In effetti, se consideriamo la collaborazione con adidas o le notizie relative allo sbarco di Bored Ape nei libri, al cinema o in altri progetti multimediali, è evidente che il progetto ha più cose in comune con un brand globale che con un’opera d’arte.

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Non bisogna inoltre dimenticare la storia delle collezioni NFT. La cultura alla base di questo successo ha le sue radici nel 2016 e su CounterParty, una piattaforma funzionante a bitcoin che permette la creazione di beni digitali. Qui la maggior parte degli early adopter, in gran parte maschi, collezionava e si scambiava i “Rare Pepe.”

Quest’esperienza è poi servita come base per creare l’economia dei meme di oggi, che—una volta puntellata dalla blockchain, la tecnologia che ora facilita la maggior parte delle transazioni—ha accelerato anche le meccaniche dello shitposting, il traino costituito dall’hype e la fase avanzata del capitalismo, tutti aspetti tradizionalmente associati a questi spazi. Se poi si considera che il nocciolo duro delle persone coinvolte ha probabilmente accumulato un bel po’ di criptovalute prima ancora di tentare il grande salto, allora si capisce da dove arriva quell’estetica ingannevole e così simile ai meme.

“Ora stiamo osservando le differenze tra i ricchi ‘classici’ e i nuovi ricchi delle criptovalute, che non hanno niente con cui esprimere la propria ricchezza e condizione,” afferma Charlesworth. “Chi possiede un miliardo in bitcoin difficilmente sceglierà di concretizzarli con qualche opera d’arte tradizionale, visto che probabilmente non avrà alcun interesse a conservarla, immagazzinarla o muoverla. Probabilmente cercherà qualcosa che esprima meglio il suo stile di vita.”

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Ad ogni modo, è importante evitare di generalizzare o confondere due entità completamente separate. “Altrimenti sarebbe come dire che le carte dei Pokemon stanno distruggendo l’arte. Sono cose completamente diverse,” conferma Diana Sinclair, co-fondatrice di Herstory DAO, un collettivo dedicato al supporto dei creatori più marginalizzati. Benché un quantitativo sempre più ampio di ricerche abbia stabilito che l’economia NFT è iniqua tanto quanto quella tradizionale, artisti come Sinclair ritengono che abbia creato nuove opportunità per quegli artisti tradizionalmente esclusi dal mercato dell’arte. Per questo, lei crede sia importante fare dei distinguo tra l’arte e gli oggetti da collezione nello spazio digitale, proprio come facciamo nel mondo materiale.

Anche perché, grazie agli NFT, questa ragazza di 17 anni ha avuto l’opportunità di curare una mostra digitale a cui hanno partecipato artisti provenienti da ogni parte del mondo. Ha inoltre lavorato con il Whitney Houston Estate sull’arte digitale e ha partecipato all’Art Basel a Miami. In più, ritiene siano stati proprio gli NFT a permetterle di aumentare il suo bacino di collezionisti potenziali, oltre ad averle fornito una strada per riuscire ad evitare il mondo dell’arte, quello tradizionale ed elitario.

Ad oggi, Sinclair ritiene di aver fatto abbastanza soldi da permetterle di scartare il college e concentrarsi sull’arte come lavoro a tempo pieno. Tuttavia, tiene anche ad aggiungere che l’aspetto determinante del suo lavoro non consiste nel fare soldi. “Uno dei miei compratori si è innamorato di una delle mie opere perché la luce blu sul volto gli ricordava qualcosa della sua infanzia che l’aveva portato a fare graffiti. Era pronto a sborsare oltre 26.000 euro per questa ragione, non perché pensava potesse servirsene per rivenderla e fare ancora più soldi,” sostiene Sinclair. “Mi è parsa una cosa molto bella.”

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Tutto il dibattito riguardante gli insipidi scambi di immagini dei NFT tra Paris Hilton e Jimmy Kimmel tende insomma a oscurare il fatto che esistono molte tipologie diverse di NFT. Ad esempio, alcuni mostrano delle applicazioni direttamente ispirate da questa tecnologia, inclusa la performance art in video come quella di Katherine Frazer, che cerca di esaminare e scorporare la questione dell’autonomia corporea delle donne; oppure ci sono i bellissimi lavori generati dal codice scritto da artisti come IX Shells. I titoli dedicati a queste persone non trattano dei guadagni o delle vendite, quanto delle loro tematiche complesse e dell’estetica intrigante. 

Dunque, cos’è che rende l’arte davvero tale? Si tratta di un dibattito che precede di gran lunga gli NFT. Basta pensare alla reazione dei critici quando Marcel Duchamp ha definito Fountain un’opera di arte scultorea, mentre ora viene studiata nei corsi universitari di storia dell’arte. Forse un giorno lo stesso avverrà per CryptoPunks o Bored Apes. 

Sì, esistono NFT che impattano davvero sulle persone e dovrebbero essere considerati come arte. Così come esistono NFT in grado di rendere le persone estremamente ricche. E sì, alcuni possono essere davvero orribili o avere a che fare con truffatori e imbroglioni. Tuttavia, come sottolinea Sinclair, più ci concentriamo sui difetti, “e meno è probabile che questa infrastruttura si focalizzi su quegli artisti in grado di fare qualcosa di buono con questi strumenti.” In fondo, non è proprio quello che dovrebbe fare l’arte?

@francombe_amy