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Urban Heat: arte, natura e attivismo a Drodesera XXXVI

Urban Heat è un progetto costituito da un network di artisti che lavorano sul rapporto tra arte e attivismo, natura e cultura.

L'edificio di Centrale Fies, che ospita Drodesera XXXVI.

Urban Heat è un progetto sviluppato dalla rete FIT (Festival In Transition) costituita da 13 festival internazionali in 12 paesi del mondo; è nato per permettere a un gruppo di artisti selezionati di interagire con le comunità all'interno delle città e supporta 22 tra artisti e collettivi attivi in performance, teatro, danza e multimedia. L'obiettivo è quello di sviluppare e produrre lavori che collegano la ricerca artistica con il mondo esterno all'arte, affrontando questioni politiche e sociali e coinvolgendo le comunità.

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Tra i festival, c'è anche Drodesera, in corso a Dro (TN) fino al 30 luglio, dove Urban Heat tiene un workshop di tre giorni dal titolo Art Datas e Hacktivism. Per saperne di più ho contattato Mali Weil, un collettivo associato a Centrale Fies e a Urban Heat, composto da Lorenzo Facchinelli, Mara Ferrieri ed Elisa Di Liberato.

The Creators Project: Su cosa lavora il progetto Urban Heat?

Mali Weil: L'area di lavoro e la cornice concettuale del progetto sono le città, il cuore di gran parte della nostra cultura. Da questo contesto nascono gli interrogativi posti alla base delle attività artistiche del progetto: cosa può mutuare l’arte dall'attivismo? Come implementare strategie artistiche politicamente e socialmente impegnate, che mirino modelli alternativi di organizzazione e d’impegno?

Urban Heat si sviluppa attraverso una serie di accademie e laboratori itineranti tra i vari festival, che riuniscono artisti, accademici, leader religiosi, scienziati, politici e tecnici. Il progetto permette agli artisti di approfondire le problematiche che le città si trovano ad affrontare, sviluppando competenze su come trattare tali dinamiche, e ideando nuove pratiche in risposta ad esse.

Come si svolgerà il workshop a Drodesera XXXVI?

A Dro abbiamo invitato tre speaker che guideranno gli artisti in un percorso di indagine sul rapporto tra uomo e paesaggio. Stiamo lavorando con i nostri ospiti affinché possano illuminare, ciascuno a seconda della propria pratica e sotto diversi punti di vista, uno specifico approccio al tema.

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Così Ursula Biemann, videoartista e ricercatrice, introdurrà la tematica tramite i suoi ultimi lavori e si concentrerà sulla difficile relazione tra umano e non-umano alla luce delle più attuali ricerche tra scienza, arte e antropologia. Si parlerà di diritti legali riconosciuti alle foreste e di cambiamento climatico, di strumenti per l'indagine scientifica e delle opportunità offerte dalla videoarte.

Poi, il duo di designer Brave New Alps, di base in Trentino, condurrà i partecipanti in una vera e propria escursione investigativa di una giornata all'interno dell'ambiente ricco di risorse che circonda Centrale Fies e la Valle dei Laghi. Il duo di designer, accompagnati dal supporto storico-antropologico di Dolomit, guideranno gli artisti partecipanti in un'indagine delle relazioni economiche che hanno forgiato il paesaggio come oggi lo possiamo vedere.

Infine, il terzo giorno, il discorso si sposterà sul piano della comunicazione e di come questo ambito in realtà sia fondamentale, da un lato per processare i dati che provengono dal paesaggio, e dall'altro per diffondere provvedimenti innovativi. Questa giornata sarà guidata da Daniel Vaarik esperto di comunicazione politica.

Marocche di Dro, foto di Alessandro Sala. Performance "The Rock Slide and the Wood" dell'artista Andreco realizzata per Drodesera XXXVI, integrata con le tematiche trattate nel lab ART, DATA AND ACTIVISM

Quali saranno i punti focali del workshop, da cui farete emergere il rapporto tra l'arte e l'ambiente circostante?

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Il lab parte dall'esigenza di rinegoziare il ruolo che paesaggio, elementi naturali e entità non umane hanno nell'immaginario collettivo, riconoscendo alla cosidetta Natura (storicamente pensata in opposizione alla Cultura) una sua soggettività che viene progressivamente messa in evidenza sia dal dibattito umanistico-scientifico sia dal lento trasformarsi dell'approccio legale che vede, in alcuni paesi, il riconoscimento dei diritti legali di fiumi, montagne e territori.

Riteniamo che l'arte, con la sua pluralità di linguaggi e di punti di vista ,sia l'unico interlocutore capace di integrare tutti i piani di questa complessa sfida e di restituire narrazioni persuasive e sorprendenti circa una percezione rinnovata del rapporto tra umano e non-umano, tra il paesaggio e tutti i suoi abitanti.

Che significato hanno per te progetti come questo, che integrano l'arte in un contesto di attivismo sociale?

Sono convinto che l'arte trovi nel confronto diretto con i nodi concettuali del proprio tempo una forma di potenziamento, e che abbia una possibilità molto superiore a quella di altri ambiti per coinvolgere le persone, risvegliarne l'interesse e stimolarne l'impegno. Detto questo, “l'artivismo” è stato un trend degli ultimi anni, e dopo un primo momento di entusiasmo collettivo è ora entrato in una fase più critica. Ci sono equilibri delicati da rispettare: ingabbiare l'arte nella ricerca di un risultato concreto può risultare pericoloso, ma alcuni esempi dimostrano che ci sono scambi fertili per entrambe le sfere.

In particolare Urban Heat ha secondo me il merito di creare un ampio network che coinvolge istituzioni, singoli artisti, università, practitioner in un confronto sovranazionale che si radica però in profondità nei territori locali, in una logica che invece di privilegiare il singolo evento formativo o spettacolare vuole lavorare sulla creazione e condivisione di visioni.

Quello che mi sembra un elemento politico da mutuare dall'artivismo è l'assunzione dell'azione in prima persona, il rifiuto di separare “ciò che viene fatto, da colui che fa”. Una trasparenza dell'esistenza che va in direzione di un potenziamento dell'autonomia anche politica del soggetto.