Yana e Igor Karaman con l'amica Galina, a Odessa
Yana e Igor Karaman con l'amica Galina, a Odessa, nel 2017. Foto: Mark Neville da Stop Tanks with Books.
Attualità

Foto dell'Ucraina che non si vede nelle notizie

Le foto di Mark Neville mostrano la realtà quotidiana delle persone che vivono sotto la minaccia dell'invasione russa.
Daniele Ferriero
traduzione di Daniele Ferriero
Milan, IT

Mark Neville è un fotografo inglese che ha cominciato a fotografare le varie comunità ucraine nel 2016, e si è poi trasferito definitivamente a Kiev nel 2020. Nello stesso anno è stato nominato per il Deutsche Börse Photography Foundation Prize, e una parte fondamentale del suo lavoro consiste nel realizzare e diffondere libri di fotografia dotati di coscienza sociale.

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“La gente sviluppa una sorta di legame emotivo e affettivo con i libri, ma lo stesso non accade con i quotidiani o internet,” spiega. “Poniamo il caso che ci siano alcuni diplomatici che discutono di una qualche guerra. Ebbene, per cambiare davvero il modo in cui le persone pensano a un conflitto armato potrebbe volerci una canzone pop, una poesia o altro di simile.”

Si tratta di un concetto che Neville ha utilizzato in tutta la sua carriera, in particolare nel libro Battle Against Stigma (“Lotta contro lo stigma”). Dopo aver trascorso tre mesi con alcuni paracadutisti inglesi in Afghanistan, Neville ha fatto ritorno a casa con il disturbo post traumatico da stress e ha dovuto sottoporsi a terapia per due anni. Il libro stesso è stato concepito per aiutare le altre persone e Neville lo ha distribuito alle persone senza fissa dimora, oltre a diversi enti caritatevoli che si occupano di salute mentale. In un secondo momento si è fatto avanti anche l’ospedale militare di Kiev, una circostanza che ha consolidato il rapporto tra Neville e l’Ucraina.

Oggi, con oltre 100mila soldati russi ammassati al confine con l’Ucraina, l’ultimo lavoro di Neville, intitolato Stop Tanks with Books (ovvero, “Fermiamo i carri armati con i libri”), vorrebbe appellarsi a tutta la comunità internazionale: 750 copie sono state inviate a politici in ruoli chiave, ambasciatori e deputati, ma anche celebrità e media. In più, Neville sta incoraggiando le altre persone a scrivergli via mail, affinché possa spedire una copia gratuita a chiunque voglia supportare il Paese. “Si tratta del mio modo per reagire e combattere,” afferma, “perché la guerra non si fermerà in Ucraina.”

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Kristina a Troyitske, nell'Ucraina dell'est, un'ora dopo un bombardamento, nel 2016.

Kristina a Troyitske, nell'Ucraina dell'est, un'ora dopo un bombardamento, nel 2016.

VICE: Qual è l’atmosfera a Kiev?
Mark Neville:
Tutto il concentrato di retorica ha alimentato la tensione, la valuta locale ha subito una svalutazione e la situazione è decisamente difficile. Non è una situazione piacevole. Hanno tutti un qualche piano d’emergenza: documenti e soldi messi da parte, valigie preparate in precedenza. Allo stesso tempo, i ristoranti sono strapieni. Se la guerra dovesse arrivare qui, la gente non scapperà. È uno Stato indipendente e non per niente si è arrivati a questa situazione.

Prima che l’ospedale militare di Kiev ti contattasse, cosa sapevi di questo Paese?
Non molto, come la maggior parte delle persone. La propaganda aveva dipinto il tutto come una guerra civile tra l’Ucraina dell’est e dell’ovest, ma è falso. Sfortunatamente, questo tipo di disinformazione è stata diffusa a dovere anche dalla stampa occidentale. Sono contento ora stiano facendo qualcosa a riguardo, ma è comunque dal 2014 che è venuta a mancare una seria copertura mediatica su questo tema.

Il conflitto prosegue ogni giorno e circa 2,5 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le proprie case. Parte del problema, sul quale cerco di intervenire con il mio libro, sta nei pregiudizi e luoghi comuni riguardanti gli ucraini. Ad esempio, il fatto che ci sia un grosso movimento di destra. Be’, ce n’è uno in ogni Paese! Insomma, c’è timore e ci sono molte convinzioni errate sull’Ucraina.

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Come è andata la tua prima visita del Paese?
È stata molto bizzarra. L’ospedale mi ha scritto dicendomi che avevano veterani traumatizzati del Donbas. Come da tradizione post-sovietica, viene loro detto di farsi forza, e in sostanza non hanno idea di come gestire le problematiche di salute mentale e non comprendono come si manifestano. Non avevo una copia del libro in ucraino, ma ho detto loro che avrei fatto un pdf. Il mio stesso Paese aveva cercato di vietare il libro [in effetti, il primo gi

ro di spedizioni è stato ritirato e sequestrato dalla polizia di frontiera inglese], mentre qui erano stati così lungimiranti da chiedermene una copia. Questo mi ha colpito, e ho voluto capire cosa stesse davvero succedendo. Mi sono sentito immediatamente legato a questo Paese, e ho riconosciuto il segno dei traumi. La guerra è a 600 chilometri da qui, ma la si può riconoscere sul volto delle persone. Ai tempi avevo appena superato il mio PTSD, quindi mi sono subito sentito connesso a questo Paese. Ogni volta che ne ho avuto l’opportunità, sono venuto qui.

Maria Holubets, Natalia Tarasenko, Rozalia Boiko, Maria Shvanyk e Rozalia Mahnyk presso il monastero cattolico greco di Zvanivka, 2018.

Maria Holubets, Natalia Tarasenko, Rozalia Boiko, Maria Shvanyk e Rozalia Mahnyk presso il monastero cattolico greco di Zvanivka, 2018.

Scatti in Ucraina da diversi anni, in differenti aree geografiche e culturali, dai soldati al fronte a Avdiivka ai raver di Kiev. Cosa li lega?
Mi stupisce ogni volta constatare quanto gli ucraini siano resilienti. Ho parlato con persone che avevano perso ogni cosa, avevano visto i vicini di casa uccisi o avevano urgente bisogno di medicinali, eppure non mi hanno mai chiesto aiuto. Un orgoglio e una capacità di resistenza incredibili, che ho visto riflessi nel comportamento di qualsiasi persona con cui ho avuto modo di parlare.

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Come hanno reagito davanti al tuo obiettivo?
Ho una macchina analogica piuttosto grossa, può intimidire. Ho chiesto il permesso prima di scattare le mie foto, e ho cercato prima di fare un po’ di conversazione. Se non piace l’idea, evito di scattare. Poi torno negli stessi posti, in maniera tale che le persone si abituino alla mia presenza. Si tratta di un metodo che ho utilizzato in tutta la mia carriera. Cerco di non essere paracadutato nel mezzo dell’azione per poi andarmene, piuttosto tento di creare una relazione solida e costante.

Ragazzo vicino al fronte, Luhansk, 2019.

Ragazzo vicino al fronte, Luhansk, 2019.

La maggior parte delle tue foto è a colori, ma alcune sono in bianco e nero. Qual è il motivo?
Nel mio lavoro cerco di fare riferimento a dipinti, film e fotografie degli anni Sessanta e Settanta. Questo è il modo in cui faccio esperienza del mondo, come la maggior parte di noi, quindi ha senso che io lavori così. La gente pensa che viviamo in un mondo moderno, ma sono molte le cose che vanno peggiorando. Ad esempio, la disuguaglianza economica e quella razziale. Oppure, la questione climatica e ambientale. Una delle mie strategie è quella di andare a creare dei “messaggi subliminali” con il linguaggio visivo.

Ti sei trasferito in Ucraina a ottobre del 2020. Quali conseguenze ha avuto sulle tue fotografie?
Ora vedo le cose in maniera del tutto differente. Penso di essermi allontanato molto dagli stereotipi, mi interessa molto di più conoscere la realtà della vita di queste persone, un qualcosa di molto diverso da quanto viene visto e raccontato in Occidente.

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Da residente, cosa hai notato?
Una pop star, ospite della TV russa, ha detto che “schiacceremo l’Ucraina.” È stato orribile ed è successo sulla televisione nazionale. E si convive con tutto questo da otto anni. Una volta stavo scattando un po’ di foto a Odessa, alcuni elicotteri militari hanno cominciato a sorvolare la spiaggia e migliaia di persone si sono fermate per guardarli. Una volta che sono spariti, tutti hanno ricominciato a fare il bagno.

Si tratta di una metafora perfetta della situazione in Ucraina, dove le persone non fanno altro che cercare di andare avanti con la propria vita. Anche un’economia destabilizzata fa paura, eppure bisogna guadagnarsi da vivere. Ma di certo non amo questo clima di tensione. Cosa succederà ai miei amici? Combatterò? Di certo c’è solo che non mi sento legato al Regno Unito. Vivo a Kiev e non è la mia seconda casa. In sostanza, per me è diventata una questione estremamente personale.

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Stop Tanks with Books esce a marzo ma è disponibile in pre-order presso Nazraeli Press.

Una ragazza a New York, nel Donetsk, 2021.

Una ragazza a Niu-York, nel Donetsk, 2021.

Evgenia Avramova presso ‘the Bees’, 2016.

Evgenia Avramova presso ‘the Bees’, 2016.

Lina con un costume nazionale, nel paesino di Orihovo-Vasylivka, Donetsk, 2018.

Lina con un costume nazionale, nel paesino di Orihovo-Vasylivka, Donetsk, 2018.

Ukrainsk, Donetsk, 2021

Ukrainsk, Donetsk, 2021.

‘Stalingrad’ checkpoint, Avdiivka, Donetsk, 2016.

Il checkpoint ‘Stalingrad’ ad Avdiivka, Donetsk, 2016.