cucina milanese
Fotografia di Silvia Luppi, per gentile concessione di Guido Tommasi Editore
Cibo

Perché la cucina milanese è così odiata e poco conosciuta

Anche i milanesi conoscono poco la cucina della loro città, e rischiano di non amarla. Un libro appena uscito cerca di invertire la tendenza.
Roberta Abate
Milan, IT

Stiamo parlando di preparazioni molto complesse; i milanesi stavano chiusi in casa ore e ore a preparare i piatti della tradizione. La cassoeula devi sgrassarla per giorni, a fuoco lento: non è una cucina intuitiva.

Il rapporto di una qualsiasi ragazza del Sud con la cucina milanese, almeno all’inizio, è per forza di cose conflittuale: il risotto al dente al quale non eri abituata che temi possa spaccarti il molare; l’insostenibile pesantezza dell’ossobuco; i mondeghili che non saranno mai paragonabili alle polpette di melanzane di tua nonna.

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Ma cerchiamo di superare la retorica di cucina del Sud vs cucina del Nord, che ha un po’ stancato e fa ridere solo se vedi i video di Casa Surace la domenica mattina in hangover. Il problema è quando si va sui social e leggi un retorico “guarda qua, tenetevi il risotto voi milanesi” sotto un video su come si fa la carbonara; questo rende lampante come la cucina milanese sia poco conosciuta, poco amata e, se vogliamo, molto facile da bullizzare.

“La cucina milanese è un po’ bistrattata per diversi motivi. Innanzitutto stiamo parlando di preparazioni molto complesse; i milanesi stavano chiusi in casa ore e ore a preparare i piatti della tradizione. La cassoeula devi sgrassarla per giorni, togliere il grasso che emerge a fuoco lento: non è una cucina intuitiva. E negli ultimi 20 anni la gente ha sempre meno tempo per cucinare”. Gabriele Zanatta è uno scrittore e un giornalista gastronomico, milanese di nascita, sebbene i genitori non lo siano per niente. Come spesso accade a Milano: qui si viene per lavoro, poi si resta e si mette su famiglia, ma in casa si mangiano cose che di milanese hanno ben poco. “Pensa che io non so parlare milanese, l’unico che ha lavorato al libro e che conosceva il dialetto è Cesare”.

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Cesare Battisti, chef del Ratanà e co-autore del libro Cucina Milanese Contemporanea

Insieme allo chef Cesare Battisti, Gabriele ha scritto un libro proprio sui piatti meneghini: Cucina Milanese Contemporanea (Guido Tommasi Editore). Il volume, illustrato da Gianluca Biscalchin, ha come obiettivo quello di costruire una nuova idea di cucina milanese, o quantomeno mettere un punto su quella del 2020, con ricette che raccontano la tradizione attraverso stagionalità e qualche piatto veloce, tipo l’Insalata di Nervetti o il Ris ed erborin (riso e prezzemolo), senza però rinnegare i classici, come il Risotto Giallo e la Costoletta.

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“Altro tema per cui la cucina milanese non è amata, o conosciuta, è che Milano non è un trampolino ma una destinazione: siamo una città che accoglie, non siamo mai andati a colonizzare con i nostri ristoranti altre regioni. Però con questo libro vogliamo dire che Milano non è solo la città del sushi e insegne alla moda”, continua Gabriele.

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Cassoeula d'oca

“Non esistono neanche troppi libri sull’argomento: uno degli ultimi al riguardo è quello di Fabiano Guatteri - La Cusina a Milan. Nel nostro volume, però, abbiamo cercato di proporre ricette veloci, realizzabili da chiunque, alcune sono capace di farle anche io, pensa.” confessa Gabriele.

Leggendo il libro ho scoperto che la cucina milanese sa essere anche molto pulp.

Un altro tema è quello dei prodotti e degli ingredienti: il mito del ‘C’avete solo la nebbia’ ha tratto in inganno per molti anni, facendo sembrare Milano solo un ricettacolo di frutta a verdura che arriva dalle altre parti d’Italia. Cesare Battisti, che oltre ad essere cuoco è un grande “spacciatore” e conoscitore di prodotti lombardi, dice: “Milano, forse la gente non lo sa, è la più grande città agricola d’Italia. Il parco agricolo a sud è vastissimo e sta cambiando anche pelle, con giovani laureati che tornano e trasformano le aziende di famiglia. Si parla di 48mila ettari coltivati e la maggior parte ci tiene a lavorare in maniera etica”. Cesare è un grande promotore della stagionalità degli ingredienti - cosa che si rintraccia benissimo nel libro - e per questo tiene molto al discorso del “anche a Milano ci sono le stagioni e ci sono dei buoni prodotti”.

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La Cassoeula; illustrazione di Gianluca Biscalchin

Ma uno dei problemi principali quando si parla di Milano e del suo cibo tipico è la mancanza di ristoranti di cucina milanese, ristoranti buoni ovviamente, dove ricredersi o almeno contemplare quanto ricco possa essere un menu da queste parti. Il fatto che quasi nessuno in città sia milanese al 100% porta alla mancanza di indirizzi tradizionali? Probabile.

Uno dei consigli che mi sento sempre di dare è l’Osteria dell’Acquabella, in zona Porta Romana, indirizzo molto semplice, ma onesto nel cibo e nei prezzi. Per il resto faccio sempre molta fatica quando mi chiedono dove mangiare un buon Ossobuco. Così chiedo a Gabriele altri indirizzi. “Ratanà, il ristorante di Cesare Battisti; Trattoria Nuovo Macello; Osteria Brunello, dove fanno un risotto e una costoletta da manuale; Testina; Trattoria Masuelli, anche se loro essendo originari del Piemonte fanno anche piatti della loro regione; Da Martino in via Farini”.

Se di una città non hai tanti posti da suggerire per parlare della sua cucina forse c’è un problema; noi cercheremo di risolverlo con piatti che Cesare Battisti vuole riportare in auge, e che in parte si trovano nel suo ristorante, come la Frittata con le rane, le Lumache in vino rosso o il Riso in Cagnone, pietanza a lungo dimenticata, come si legge nel libro, dove “cagnum” in dialetto significa larva d’insetto a causa dell’aspetto che i chicchi assumono dopo essere stati bolliti. Leggendo il libro ho scoperto che la cucina milanese sa essere anche molto pulp.

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